Monchio di Palagano, località dall’Appennino modenese al confine con la provincia di Reggio Emilia.
All’alba del 18 marzo 1944, 300 soldati nazisti, comandati dal capitano Kurt Christian Von Loeben e coadiuvati da uomini della repubblica di Salò, iniziano un rastrellamento rivolto contro una pattuglia partigiana che, durante un attacco, aveva inflitto perdite alle milizie fasciste.
Sulle modalità dell’operazione, ecco quanto scrisse il parroco, Don Luigi Braglia, nel suo diario : “Entrano nelle case, spezzano le stoviglie o mandano in frantumi i vetri con i grossi fucili, fanno uscire le donne e i bambini, fanno una scorreria nelle camere, rubano qua e là ciò che loro aggrada, scaricando gli uomini che avevano nel frattempo tenuti fermi sotto la minaccia delle armi e quindi li avviano alla piazzetta in prossimità del cimitero vecchio dove verranno passati per le armi“.
Le vittime sono 131; due giorni dopo, lo stesso copione si ripete a Cervarolo, nel reggiano (22 vittime). (1)
Di questi morti però si è sempre parlato poco: perché?
Secondo Giovanni Fantozzi, storico e giornalista modenese, la risposta si può trovare solo se ci si addentra tra i chiaroscuri della Resistenza e le contraddizioni dei “buoni”: vediamo di seguire sinteticamente il suo percorso.
Il territorio di Monchio, in cui dominava una proprietà agricola povera e suddivisa in piccoli appezzamenti, era a prevalente cultura cattolica: finché c’erano state libere elezioni, la forza politica più votata era stato il Partito Popolare. La figura del proprietario terriero visto come antagonista di classe era sconosciuta.
In questo contesto si inserirono, nella primavera del 1944, i partigiani Gappisti (Gruppi di azione patriottica, nati su iniziativa del Partito Comunista): essi agirono in un clima di pesante intimidazione politico-ideologica, guidati dalla convinzione che, liquidato il fascismo, il successivo obiettivo sarebbe stato quello di instaurare lo “stato dei lavoratori”. In questa prospettiva, si sarebbero dovuti regolare i conti anche con coloro che si opponevano alla “rivoluzione rossa”.
E nella comunità del paese gli oppositori alla futura, possibile rivoluzione comunista ed alla ipotizzata “spallata finale” avrebbero potuto essere molti.
Inoltre le 131 vittime di Monchio non potevano rientrare nella narrazione della Resistenza che privilegiava soprattutto l’immagine “militare” della lotta, meglio simboleggiata dalla vicina Repubblica di Montefiorino, che ottenne la medaglia d’oro al valor militare, nelle cui motivazioni non si trova nessun riferimento a Monchio.
Questo intreccio di posizioni ideologiche fu determinante nell’oscurare la strage.
Nelle piane di Monchio avvenne anche un altro fatto, che si inserisce nel difficile confronto/scontro fra l’antifascismo di ispirazione comunista da una parte e l’antifascismo di origine popolare e cattolica dall’altra: l’uccisione di Rolando Rivi.
Il 10 aprile 1945 il seminarista Rolando Rivi, di 14 anni, è rapito da alcuni partigiani della brigata Garibaldi, appartenenti al battaglione “Frittelli” della divisione Modena Montagna, che lasciano ai genitori soltanto un biglietto : “Non cercatelo. Viene un attimo con noi partigiani”.
Il ragazzo è portato in un bosco a Piane di Mocogno, dove i suoi rapitori, dopo averlo picchiato e seviziato, lo uccidono. Il corpo di Rolando viene trovato dal padre la sera del 14 aprile, grazie alle indicazioni di alcuni partigiani.
I responsabili dell’eccidio, Giuseppe Corghi e Delciso Roli, furono condannati a 22 anni di carcere, ma ne scontarono solo sei grazie alla “amnistia Togliatti“, i cui benefici si estendevano anche al reato di omicidio, purché commesso, fino al 31 luglio 1945, nell’ “attualità della lotta contro il fascismo”.
Rolando Rivi è stato proclamato beato a Modena il 5 ottobre 2013.
(1) Il tribunale militare di Verona ha condannato il 5 luglio 2011 tre capi ex nazisti responsabili della strage di Monchio.
La storia, affinchè possa essere magistra vitae, deve essere conosciuta ed approfondita. Brava MariaLivia! stai facendo un ottimo lavoro.
Barbara
Dare la colpa dell’oblio di questa starge nazi fascista alla resistenza, come questo articolo lascia intendere, è osceno, disturbante. Punto.
Penso ancora con gratitudine a due miei professori dell’Università di Bologna – Ovidio Capitani e Claudio Giovannini – che mi hanno insegnato a considerare tutti gli aspetti di un evento : è quello che cerco di fare… Maria Livia Paltrinieri
Caro mio, hai proprio il chiodino rosso.
Tutto il bene da una parte e tutto il male dall^altra?
Guarda che in Emilia prima di diventare tutti comunisti e democristiani si era tutti fascisti……poi le cose hanno iniziato ad andare male ed ecco qua.
Se nemmeno di questo si macchiarono i partigiani….facciamoli tutti santi.
Essendo ormai abituati a una lettura monolitica ed edulcorata della Resistenza, confrontarsi con un punto di vista meno manicheista può risultare effettivamente una esperienza disturbante…
Sottolineare una possibile corresponsabilità della Resistenza nell’occultare episodi puntuali non significa sottovalutare il grande valore di quell’esperienza.
Una lettura agiografica a scapito della realtà può essere altrettanto dannosa.
Grazie della riflessione, che ho letto con ritardo! Maria Livia