Dopo la guerra nell’ex Jugoslavia, noi italiani abbiamo ripreso a frequentare le belle spiagge della Croazia, magari arriviamo fino a Sarajevo, ma quando si nomina “Srebrenica” non solo i ragazzi assumono un’espressione incerta e/o interrogativa…anche per questo ho pensato di dedicare qualche pagina di “belpaeselibri” al ricordo di quanto è accaduto nella città bosniaca dall’11 al 13 luglio 1995.
Questo il racconto di Emma Bonino, che nel 1995 era Commissario Ue per gli aiuti umanitari.
“Era l’11 luglio 1995. Me lo ricordo benissimo. (…) Arrivò la notizia, secca, che migliaia e migliaia di persone erano in marcia da Srebrenica verso il campo profughi dell’Onu di Tuzla ( Zona protetta dell ‘ONU, come Sarajevo, Srebrenica, Zepa, Bihac e Gorazde, ndr.). (…). Quando abbiamo saputo che migliaia e migliaia di persone erano in cammino verso Tuzla, abbiamo deciso di andare subito a vedere cosa stesse succedendo. In piena guerra nella ex Jugoslavia, e con le milizie serbe di Mladic che da tempo avevano sotto tiro le enclave serbo-bosniache musulmane, l’Onu aveva allestito sei “ safe area “, zone di sicurezza presidiate dai Caschi blu che però non avevano il mandato atto a proteggere la popolazione . All’epoca, ancora si credeva che la bandiera dell’Onu ancora potesse essere un deterrente. Srebrenica era una di quelle “ safe zone “, una enclave in territorio serbo, Tuzla il campo profughi più vicino.
Atterriamo in elicottero, e percorriamo il campo. In un silenzio spettrale, passiamo in lungo e in largo tra le tende, la mensa, l’astanteria, gli uffici, l’ospedale da campo. E a un certo punto mi accorgo di avere visto solo donne, vecchi e bambini. Quante persone ci sono qui?, chiedo. Ero certa, perché mandavamo aiuti, che a Srebrenica ci fossero 42 mila cittadini. A Tuzla fanno i conti, due volte, e ci accorgiamo che ne mancano 8mila. Tutti uomini, o adolescenti maschi, in età per combattere. Torniamo in mezzo alle tende, parliamo con le donne, e loro ci raccontano che i serbi li hanno divisi, donne vecchi e bambini da una parte, uomini e ragazzi da un’altra.” ( “Mancavano uomini e ragazzi. Così mi accorsi di Srebrenica” , La Stampa, 10 luglio 2015 ).
Costretta a fermarsi a Tutzla a causa di un temporale che impedisce il decollo degli elicotteri, Emma Bonino si mette in contatto con la Croce Rossa e due giorni dopo, rientrata a Bruxelles, scrive un rapporto che invia a tutte le capitali europee ed informa anche il Segretario di Stato americano, Madeleine Albright.
Silenzio. Per quasi un mese, nessun governo reagisce di fronte al rapporto.
Solo il 10 agosto Madeleine Albright rende pubbliche le foto satellitari di Srebrenica, nelle quali si vedono le fosse comuni in cui erano stati gettati migliaia di serbo-bosniaci trucidati dalle truppe di Mladic, il generale dell’esercito che guidava le truppe serbe in Bosnia.
Per completezza d’informazione, ricordo che l’ “Observer” del 5 luglio 2015 ha ipotizzato che l’inerzia di Francia, Inghilterra e Usa derivasse dalla necessità di non indisporre Milosevic, il presidente della Serbia, dato che si stavano svolgendo le trattative per gli accordi di Dyton.
Il 25 giugno 1991, Slovenia e Croazia proclamano l’indipendenza dalla Repubblica socialista federativa jugoslava.
La Serbia, di fatto, accetta l’indipendenza della Slovenia, ma si oppone a quella della Croazia, con violenti bombardamenti su Vukovar, assediata, oltre che su Dubrovnik, Zara e Sebenico.
Il 15 ottobre 1991 anche la Bosnia proclama l’indipendenza, mentre la Serbia, messa in difficoltà in Croazia dalle pressioni internazionali, decide di puntare tutte le sue carte sul controllo della Bosnia.
Il 6 aprile 1992 i serbi di Bosnia attaccano Sarajevo e iniziano un lungo assedio, avviando nel resto del paese una violenta offensiva contro le donne ed i civili musulmani. Comincia la fase più sanguinosa delle guerre balcaniche, mentre la diplomazia nomina sempre nuovi mediatori, senza risultato.
Nel 1993, i governi di Italia e Francia si fanno promotori di una risoluzione al Consiglio di Sicurezza Onu, che istituisce il tribunale per i crimini di guerra nell’ex Jugoslavia. Dal Tribunale parte una campagna grazie alla quale si arriverà alla nascita del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja.
Srebrenica, 11 luglio 1995
Una premessa: sui fatti di Srebrenica ho consultato giornali cartacei ed on-line : non esiste una versione comune, c’è sempre qualcosa di discordante. Un ottimo punto di partenza per una riflessione sulle difficoltà del lavoro storico.
Mi sono attenuta alla versione che pubblicata su “La Stampa” del 7 giugno e 10 luglio 2015, versione che si accorda con il resoconto di Emma Bonino.
Il 6 luglio comincia il bombardamento serbo su Srebrenica, enclave musulmana in Bosnia.
Nella notte fra il 10 e l’11 luglio la popolazione della città, assediata dalle forze serbo-bosniache di Mladic- che entreranno a Srebrenica l’11 luglio- si dirige in massa verso il quartier generale dei Caschi blu olandesi di Potocari, che dista 6 kilometri. Inizialmente circa 6mila civili sono accolti, ma il 13 luglio i responsabili della base cominciano a fare uscire, a gruppi, 5 mila rifugiati musulmani, in cambio del rilascio di 14 caschi blu ( il riferimento ai caschi blu l’ho trovato in pochissime fonti, ndr. ).
Nei quattro giorni successivi gli uomini, separati dalle donne e dai bambini, saranno torturati, fucilati e sepolti in fosse comuni. Le vittime del massacro sono 8372.
Il più grande massacro compiuto sul territorio europeo dopo la Seconda guerra mondiale.
Nel 1996 viene creata l’International commission for missing people ( Icmp) con il compito, fondamentale per consolidare la tregua siglata nel frattempo, di identificare tutte le vittime scomparse nella guerra civile jugoslava.
A giugno del 2015, i corpi riconosciuti sono 28000 su 40000, a Srebrenica 7000 su 8372.
Dopo quasi quattro anni, 2 milioni di rifugiati, spaventose atrocità, è finalmente pace in Bosnia.”
Quattro ore più tardi, i tre presidenti, bosniaco,croato e serbo, si stringono la mano e siglano il trattato, un libro di 65 pagine, accompagnato da cento pagine di mappe e fotografie.
Ma quale pace, in estrema sintesi ?
In Bosnia, viene riconosciuta la presenza di due entità federali, la Federazione croato-musulmana ( che si estende sul 51% del territorio ) , e la Repubblica Srpska, serbo- bosniaca ( sul 49% del territorio). La capitale, Sarajevo, resterà unita : scompare l’ipotesi di una Berlino del 2000, divisa da un muro etnico.
La presidenza è collegiale : risulta composta da un serbo, un croato e un musulmano bosniaco, che ruotano alla guida del paese ogni otto mesi.
Niente può essere deciso senza il consenso di tutti.
Questa soluzione di compromesso, che sancisce la spartizione della Bosnia su base etnica, secondo alcuni osservatori rappresenta “ Un peccato originale che l’ Europa sta ancora scontando e che al mercato della sopravvivenza dei suoi valori conta anche più degli indici di Borsa, degli spread e della stabilità dell’euro .”( E’ iniziato tutto a Srebrenica di Gigi Riva, L’Espresso, 9-07-2015)
Mi viene però spontaneo chiedere : “ C’era un’altra soluzione praticabile ?”
Che fine hanno fatto i responsabili?
Il 2 marzo 2007 il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja- costituito il 25 maggio 1993 dal Consiglio di sicurezza dell’Onu- pur definendo il massacro un genocidio, assolve la Serbia dalla responsabilità, salvandola dall’obbligo di pagare un indennizzo di guerra alla Bosnia, e dispone l’arresto dei leaders politici e militari responsabili:
- Radovan Karadzic, ex presidente della Repubblica Serba di Bosnia, sotto processo per crimini di guerra e genocidio dal tribunale penale internazionale all’Aja, è in carcere dal 2008.
- Ratko Mladic, generale dell’esercito serbo, accusato di genocidio, crimini contro l’umanità e violazione delle leggi di guerra, è stato arrestato nel 2011 ed è sotto processo all’Aja.
- Slobodan Milosevic, presidente della Serbia, accusato da Tribunale di crimini di guerra, arrestato nel 2001, è stato trovato morto nel carcere dell’Aja l’11 marzo 2006.
Nel 1996 il governo olandese ordina un’inchiesta, per stabilire il grado di responsabilità delle proprie truppe; i risultati sono presentati il 10 aprile 2002.
Il 16 aprile il governo di Wim Kok rassegna collettivamente le dimissioni, assumendo la responsabilità, ma non la colpa del massacro.
Il 17 aprile, anche il capo delle forze armate olandesi, il generale Van Baal, presenta le dimissioni.
Il 15 luglio 2014, il Tribunale dell’Aja giudica l’ Olanda “civilmente responsabile” della morte di 300 uomini e ragazzi di Srebrenica, rifugiatisi nella base dei caschi blu olandesi ed espulsi il 13 luglio 1995, in quanto “il battaglione avrebbe dovuto tener conto della possibilità che questi uomini sarebbero stati vittima di genocidio”. ( La Stampa, 16 luglio 2014)
Fra i tanti libri che sono stati pubblicati su Srebrenica, ho scelto quello di un ragazzo bosniaco sopravvissuto al massacro. Il breve estratto che riporto riguarda l’ingresso delle milizie serbe nel campo profughi di Potocari.
“Il giorno dopo ( ma allora avevo smesso di calcolare il tempo) furono evacuati quasi tutti i feriti e gli infermieri dell’ospedale di Srebrenica. Alcuni di loro furono visti vivi per l’ultima volta su un camion con le insegne dell’Onu sulla strada da Potocari a Bratunac.
Mentre si preparavano a partire, sentii i serbi che chiedevano a quelli dell’Onu di consegnare anche noi, gli interpreti, e questi cedevano alla richiesta.
I miei capi, con cui parlai, non poterono offrirmi alcuna garanzia. “ I serbi vogliono solo essere sicuri che nessuno di voi abbia commesso crimini di guerra”, risposero laconicamente.
Parlavo con una collega mentre guardavamo i civili, feriti per lo più nel corso degli ultimi giorni, che si preparavano a partire verso Tutzla.
Un soldato olandese, che capiva il bosniaco, mi si avvicinò e mi disse: “ Senti, eccoti il mio fucile, ferisciti a un piede, e ti metteremo fra i feriti. Se non te la senti tu, sparerò io.” Guardai lui, poi l’Uzi ( la pistola). Non ebbi il coraggio di farlo.”.
Bosnia: le prospettive per il futuro
Dei 3,8 milioni di abitanti, metà sono musulmani; fra di loro, si calcola la presenza di 3000 islamisti che simpatizzano per l’Isis.
La disoccupazione ufficiale è al 27%, in realtà arriva al 40%, quella giovanile al 60%. (“ Rancori e nuovi incendi” di G. Stabile, La Stampa, 7-6-2015)
Questi elementi destabilizzanti hanno accelerato l’entrata in vigore, dell’accordo di stabilizzazione e associazione della Bosnia alla Ue, entrato in vigore il primo giugno 2015.
Secondo Mladen Ivanic, il Presidente di turno, la possibilità reale di diventare, nel giro di due o tre anni, candidati alla Ue sarebbe un passo importante per ilo suo paese, in quanto aprirebbe “ una nuova speranza e una nuova prospettiva ai cittadini. “ ( “ L’Europa accolga subito la Bosnia solo così supereremo Srebrenica,” , La Stampa, 11 luglio 2015).
Nel frattempo, visto che non ci sono alternative agli accordi di Dyton “ bisogna rivolgersi alle cose per cui si vive e che sono comuni a tutti: l’economia e una vita migliore.”, prendendo ad esempio il riavvicinamento fra Francia e Germania nel secondo dopoguerra.
E’ quello che tutti noi ci auguriamo.