L’assassinio di Regeni. “Certe cose non possono e non devono avere risposte” (purtroppo)

assassinio di giulio regeniCosì, nel 2009, l’ex ministro degli esteri De Michelis concludeva la conversazione con gli autori del docfilm sulla strage di Ustica.

De Michelis aveva detto: “Capisco la passione che ci mettete, ma è mal spesa. La verità non sarà mai raggiunta perché ci sono cose che stanno sopra il tavolo e altre che stanno sotto il tavolo. Non è che quello che c’è sotto il tavolo lo devi spiegare tutti i giorni.”(1)

Temo fortemente che la stessa considerazione si dovrà fare per il brutale assassinio di Giulio Regeni, il ricercatore friulano in missione di studio al Cairo, scomparso il 25 gennaio 2016, giorno dell’anniversario delle proteste di piazza Tahrir (dove, il 25 gennaio 2011, cominciarono le manifestazioni contro il trentennale dominio del Presidente Mubarak).

Il suo cadavere, con evidenti segni di torture, fu trovato abbandonato in un fosso dell’autostrada che congiunge Il Cairo con Alessandria d’Egitto, nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani.

Secondo l’autopsia, la morte era stata causata dalla frattura della vertebra cervicale, in seguito ad un violento colpo al collo.

Già all’indomani del ritrovamento del corpo, le autorità egiziane si mostrarono refrattarie alle ripetute richieste italiane di poter visionare le immagini della metro e i tabulati telefonici, né consegnarono gli effetti personali del ricercatore italiano (2). Finché, il 24 marzo, l’Egitto comunicò che il caso era chiuso, dato che erano stati individuati ed uccisi i cinque sequestratori, cittadini egiziani con precedenti penali.

In realtà, le ripetute reticenze e le risposte evasive del Cairo indussero a sospettare che i servizi di sicurezza egiziani e lo stesso governo avessero avuto un ruolo nel rapimento e nell’assassinio di Regeni, su cui ci sono troppe cose non dette.

Quello che c’è sotto il tavolo

Ci sono molte cose non dette sul caso Regeni. A partire dal ruolo delle docenti di riferimento di Giulio, Maha Abdel Rahman – cattedra ad Oxford e oppositrice di Al Sisi – e Rabab El Mahd– cattedra all’Università del Cairo – anch’essa su posizioni antigovernative.

La prima inviò Giulio al Cairo per un lavoro di ricerca sui sindacati egiziani, la seconda era la sua referente in loco. Nessuna delle due ha collaborato con le indagini.

La professoressa di Oxford si è rifiutata di consegnare pc. e smartphone agli investigatori italiani ed è spesso ricorsa alla formula “Non so/ non ricordo” durante gli interrogatori dei nostri inquirenti.

Ampliamo il discorso a livello di alleanze politiche: l’Egitto si è impegnato con gli Usa a difendere l’esistenza dello stato d’Israele ed a reprimere l’estremismo islamico dei Fratelli Musulmani ( si vuole evitare una seconda Libia, è evidente). E il governo di Al Sisi svolge puntualmente questi compiti. Per casi come questi, la realpolitik ha coniato un’espressione fortemente maschilista: “E’ un figlio di …., ma è il nostro figlio di…”.


(1)“Ecco perché non sapremo chi uccise Regeni”, di M. Doneli.
Sul DC9 Itavia precipitato nel mare di Ustica alle 20,59 del 27 giugno 1980 si sono susseguite varie ipotesi: quella dell’abbattimento da parte di un missile aria-aria o terra- aria,oppure la presenza di una bomba a bordo. Ultima ipotesi: un attentato dell’Fplp, l’organizzazione palestinese di fede marxista, che l’Olp di Habbash non riusciva più a controllare. (“La strage di Ustica”, La Stampa, 27 giugno 2020).

(2)Solo il 22 giugno 2020 l’Egitto ha consegnato il passaporto, i documenti universitari e oggetti personali di Giulio, ma i genitori non li hanno riconosciuti come appartenenti a lui.


Circoscriviamo il discorso al nostro paese. Secondo i dati della bilancia commerciale, Roma vende al Cairo beni per tre miliardi di euro l’anno.

Ultimo affare: due fregate vendute alla marina egiziana, per un valore di 1,2 miliardi di euro.

In nome di un “realismo politico straccione(3), alcuni esponenti del nostro governo hanno ritenuto che il rafforzamento delle relazioni economiche con l’Egitto fosse la migliore condizione per avere in cambio elementi risolutivi sulle indagini.

Con questo brillante risultato, facilmente prevedibile: abbiamo perso ogni strumento di pressione contrattuale.

Ultima cosa non detta: la nostra intelligence, leader riconosciuta in Medio Oriente e in Africa, ha alle spalle una storica collaborazione con i servizi segreti egiziani, sospetti mandanti ed esecutori dell’omicidio Regeni, il cui corpo, ricordiamolo, venne trovato nei pressi di una prigione dei suddetti servizi.

Tutti questi elementi fanno temere che non si arriverà mai a scoprire la verità. Se con il cuore tutti ce lo auguriamo, con la ragione temo che si arriverà a da dire: “Che la terra ti sia lieve, Giulio”.

(3) “Quell’alibi infame: Se l’è cercata”, di Luigi Manconi, La Stampa, 2-07-2020

Testi di riferimento:

  1. “I silenzi del Cairo e l’ira dei Regeni”, di Francesco Grignetti, La Stampa, 2-7-2020
  2. “Il flop che imbarazza il governo”, di Francesca Paci, Ibidem
  3. Intervista a Erasmo Palazzotto, Presidente della commissione d’inchiesta sul caso Regeni, Ibidem
  4. “Ecco perché non sapremo mai chi uccise Regeni” di Massimo Doneli, su “Il Resto del Carlino”, 23 giugno 2020
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