Il maxiprocesso antimafia e lo smantellamento del pool

smantellamento del pool antimafiaEstate 1985 . L’uccisione di Montana e Cassarà

Nel corso del’estate 1985 Antonino Caponnetto e il suo pool persero due loro fidati collaboratori: Giuseppe Montana, commissario della squadra mobile di Palermo, ucciso dalla mafia il 28 luglio 1985, a 34 anni, e Antonio Cassarà, il carismatico capo della “ Mobile “ di Palermo, anch’egli ucciso da “Cosa nostra” 10 giorni dopo Montana.

Insieme a lui morì anche Roberto Antiochia, il giovane agente di polizia che aveva voluto rientrare in anticipo dalle ferie, proprio per proteggere il suo capo.

Dopo questi omicidi, ed in seguito ad una segnalazione secondo cui dal carcere era partito l’ordine di uccidere Falcone e Borsellino, nel giro di poche ore si decise di allontanare entrambi da Palermo e di portarli all’Asinara per due settimane, mentre Caponnetto, insieme ai magistrati Di Lello e Guarnotta, era preso dal lavoro di stesura e di compattamento dell’ordinanza-sentenza che chiudeva l’istruttoria, depositata la sera dell’8 novembre 1985.

Il maxi processo : 11 febbraio 1986 – 16 dicembre 1987

Il processo di primo grado iniziò l’11 febbraio 1986. Fu l’unico processo in cui lo stato fornì gratuitamente copia di tutti gli atti, per un costo di decine e decine di milioni
Borsellino mise a disposizione la sua agenda, in cui c’erano tutti i riferimenti ai vari fogli processuali.

Dopo 22 mesi di dibattito, si arrivò alla sentenza il 16 dicembre 1987 : ci furono 346 condanne, 114 assoluzioni, e pene detentive per un totale di 2665 anni di reclusione

Negli ambienti mafiosi e contigui, tuttavia, si era convinti che, nei successivi gradi di giudizio, le pene sarebbero state in gran parte diminuite o annullate.

La sentenza fu il riconoscimento della credibilità dei pentiti, oltre che dell’accurato e complesso lavoro della polizia, dei carabinieri e della magistratura .

Caponnetto scrisse che, dopo quattro anni e mezzo di lavoro, svolto fra l’ ufficio e la caserma dove alloggiava, alla fine del 1987 riteneva di poter tornare a Firenze, sicuro che sia il maxiprocesso che il pool fossero la base per continuare la lotta a “ Cosa nostra “ negli anni a venire.

Invece, in un mese, il pool cominciò ad essere smantellato: che cosa accadde a Palermo e Roma, sede del C.S.M.?

pool antimafia

Il pool antimafia

Lo smantellamento del pool

Seguiamo il racconto di Caponnetto :

Il 19 dicembre 1986, mentre il processo era in corso, Borsellino era stato nominato procuratore capo a Marsala, dove rivitalizzò l’ufficio, circondandosi di giovani magistrati.

Il 10 gennaio 1987 lo scrittore Leonardo Sciascia, in un articolo sul “ Corriere della Sera”, titolato” I professionisti dell’antimafia”, si scagliò contro la nomina di Borsellino al nuovo incarico, affermando che “ nulla vale di più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso. “.

Si tratta della nota polemica sui “ professionisti dell’antimafia”, che andò avanti alcune settimane.

Intanto, Falcone aveva presentato al C.S.M. la propria candidatura come successore di Caponnetto. Il Consigliere, conoscendo le avversità e i “ tradimenti “ che Falcone aveva incontrato sulla sua strada, sarebbe stato disposto a rimanere a capo dell’Ufficio Istruzione per i due anni che lo separavano dalla pensione, se questo poteva costituire un elemento a favore del consolidamento del pool e della posizione di Falcone.

In particolare, Caponnetto avrebbe voluto la certezza matematica che il posto di Consigliere istruttore sarebbe stato occupato da Falcone : per questo teneva sempre a portata di mano un telegramma, diretto al CSM, in cui chiedeva la revoca del trasferimento a Firenze.

Falcone lo rassicurò sull’orientamento a lui favorevole dei colleghi magistrati e lo invitò a stracciare il telegramma .

Il 18 gennaio 1988, giorno della votazione del C.S.M., Falcone aveva segnato su di un foglio, in inchiostro, i voti che riteneva prevedibili, in senso favorevole o contrario a lui, poi aveva aggiunto a matita i nominativi delle persone su cui riteneva di poter contare.

Gli spostamenti decisivi furono due ( “ Non voglio dimenticare quei nomi “ scrive Caponnetto), ma risultarono fondamentali : il C.S.M. preferì a Falcone il giudice Antonino Meli, in nome del principio dell’anzianità. (1)

Meli, dopo aver spezzettato in mille rivoli le più importanti inchieste di mafia, le suddivise fra le varie procure, dove rimasero a dormire sonni tranquilli.

Inoltre, nell’estate del 1988 sciolse ufficialmente il pool, la cui preziosa esperienza si disperse in mille rivoli, mentre Falcone si vide preferire Sica come capo dell’Alto Commissariato per la lotta alla mafia.

Nel 1990, dopo aver posto, ancora una volta senza successo, la sua candidatura al C.S.M., da dove pensava di poter utilizzare il comitato antimafia, Falcone accettò di assumere la guida della Direzione affari penali ( offertagli dall’allora ministro della giustizia Claudio Martelli), da cui contava di premere per la costituzione di una superprocura antimafia.

Caponnetto aveva salutato il suo collaboratore, con cui rimase costantemente in contatto, durante la sobria cerimonia di saluto a Palermo : un lavoro eccezionale cominciava a disperdersi.

(1) Va ricordato che, subito dopo la strage di Capaci, Caponnetto sostenne che Falcone cominciò a morire proprio la notte del 16 gennaio 1988, quando apparve chiara la sua solitudine : il fatto che si distaccasse – sia intellettualmente che operativamente – dagli altri creava intorno a lui un clima di incomprensione, di invidie e di rivalità.

Il maxi processo dall’Appello alla Cassazione

In appello si trovò subito un ristretto numero di magistrati disposti a presiedere il maxiprocesso .

Uno di questi era Antonio Saetta, che si era messo in luce per l’assoluto rigore morale, ucciso da Cosa Nostra il 25 settembre 1988, proprio per impedirgli di presiedere il maxiprocesso.

Il suo posto fu preso dal giudice Palmagiaro. La sentenza venne pronunciata il 10 dicembre 1990 : gli ergastoli passarono da 19 a 12, le pene detentive vennero ridotte di un terzo e furono pronunciate 86 assoluzioni.

La sentenza della Cassazione, del 30 gennaio 1992, fu molto severa : le condanne vennero tutte confermate, gran parte delle assoluzioni del giudizio d’appello furono annullate e per gli imputati venne disposto un nuovo giudizio. Il processo di rinvio fu celebrato fra il 1993 ed il 1995 : tutti gli imputati furono condannati all’ergastolo.

Il risultato finale del maxiprocesso fu la conferma quasi totale delle pesanti condanne pronunciate in primo grado : ai Corleonesi era stato inferto un colpo molto duro.

Cosa Nostra contrattaccò attuando una serie di attentati : quello del 23 maggio 1992, in cui trovò la morte Giovanni Falcone con gli agenti di scorta e quello del 19 luglio 1992, in cui rimase ucciso, anch’egli insieme alla scorta, Paolo Borsellino.

I professionisti dell’antimafia
Sciascia e i professionisti dell'antimafia

Questa la tesi di fondo di Leonardo Sciascia : in Sicilia il modo migliore per far carriera in politica e in magistratura è dichiararsi antimafia: Borsellino veniva citato come “esempio attuale ed effettuale”.

Probabilmente Sciascia voleva mettere in guardia contro il pericolo che qualche magistrato o politico disonesto facesse carriera grazie alla parola d’ordine “lotta alla mafia”, ma l’articolo fu un errore, che lo scrittore amplificò attraverso una serie di interviste.

I nemici del pool sfruttarono le parole dello scrittore, Borsellino e tutto il pool scelsero il silenzio.

Solo il 26 giugno 1992, un mese dopo l’assassinio di Falcone e 23 giorni prima del proprio, Borsellino dichiarava :”Giovanni ha cominciato a morire tanto tempo fa. Questo paese, questo Stato, la magistratura che forse ha più colpa di ogni altro, cominciarono a farlo morire nel gennaio 1988, quando gli fu negata la guida dell’Ufficio Istruzione di Palermo. Anzi, forse cominciò a morire l’anno prima : quando Sciascia sul “ Corriere” bollò me e l’amico Leoluca Orlando come “ professionisti dell’antimafia” ( Palermo, 26 giugno 1992 , citato da Giulia Grassi)

 

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