Dopo l’ultima strage nel Mediterraneo, qualche commentatore ha proposto di far studiare a scuola la storia dell’emigrazione italiana. Che in realtà rientra da anni nei percorsi di storia, compressi in sole due (2) ore settimanali; non è facile affrontare contenuti che vadano oltre gli anni’50 /’60, anche se tanti insegnanti aprono delle “finestre” sulla seconda metà del 1900 e oltre.
Per questo ho deciso di prendere in esame l’ultima strage dell’immigrazione italiana, avvenuta a Mattmark, in Svizzera, il 30 agosto 1965, ma prima farò un breve richiamo alla tragedia di Marcinelle, in Belgio, ricordata dalla stampa pochi mesi fa, in occasione dell’anniversario.
Marcinelle, agosto 1956: “Tutti cadaveri”
8 agosto 1956, miniera di carbone di Marcinelle, nel distretto belga di Charleroi, ore 8.
A 975 metri sotto terra, un errore di manovra provocò un incendio che si diffuse lungo i cunicoli e le gallerie, dove erano già scesi 294 minatori di 12 nazionalità diverse.
I soccorsi furono lenti( i pompieri arrivarono solo alle 12 ), e i parenti delle vittime rimasero in attesa, giorno per giorno, finché, due settimane dopo l’incidente, un soccorritore italiano riemerse urlando quella verità che nessuno avrebbe voluto sentire: “Tutti morti!”. Dei 262 lavoratori che morirono, 136 erano italiani.
Dopo tre processi, il direttore della miniera fu condannato a 6 mesi con la condizionale.
Nessuna sanzione per gli amministratori e gli ingegneri.
Re Baldovino era accorso il giorno stesso dell’incidente, da Roma nessuno si mosse.
Va ricordato che nel 1946 Roma e Bruxelles avevano firmato un accordo, in base al quale sarebbero arrivate in Italia 2500 tonnellate di carbone ogni 1000 operai italiani occupati nelle miniere belghe. Uomini assimilati a merci…
Quegli stessi uomini che, ospitati nelle baracche dei prigionieri di guerra, leggevano sulle porte degli esercizi commerciali:”Né cani, né italiani”.

Mattmark, 30 agosto 1965 : l’ultima strage dell’immigrazione italiana
“Pareva che il cielo intero fosse cascato sulla terra” ( racconto di un sopravvissuto)
Il 30 agosto 1965 a Mattmark, in Svizzera, Canton Vallese, 88 operai, di cui 56 italiani, muoiono, travolti dal crollo del ghiacciaio Allalin, mentre sono impegnati nella costruzione di una diga.
Eppure c’erano stati segnali premonitori: la temperatura di notte arrivava anche a -30° e la caduta di ghiaccio e slavine era una costante nel corso di ogni giornata di lavoro.
Una giornata che per i 700 lavoratori arrivava anche a 16 ore, con gli straordinari.
E nel poco tempo che restava? Gli operai erano sistemati in un accampamento costruito sulla linea di caduta del ghiacciaio. Una decisione che trascurava ogni criterio di sicurezza, per risparmiare sia il tempo che i soldi del trasporto in pullman.

L’accampamento comprendeva le baracche dormitorio ( con una capienza di 100 persone ognuna), la mensa e le officine. Su tutto precipitò l’enorme frana di ghiaccio, che fece letteralmente volar via gli autocarri.
Insieme ai 56 italiani morirono 4 spagnoli, 2 tedeschi, 2 austriaci, un apolide e 23 svizzeri.
Le responsabilità? Nell’efficiente Svizzera si ripeté, mutata mutandis, il copione di Marcinelle.
Anche se, a partire dal giugno 1969, decine di miliardi di metri cubi d’acqua arginati dalla diga avevano cominciato a fornire energia per 250 milioni di Kwh, il processo poteva aspettare: cominciò nel gennaio 1972.
Gli imputati – 17 fra direttori, ingegneri, funzionari, accusati di omicidio colposo – furono tutti assolti, perché prevalse la tesi dell’imprevedibilità, secondo cui il cedimento del ghiacciaio era dovuto all’aumento delle temperature ed alle forti piogge dei mesi precedenti.
Ancora nel 1969 la Svizzera, che ospitava il 50% dei migranti italiani, era il paese europeo con il maggior numero di morti bianche.
In tema di sicurezza sul lavoro troppo spesso, Mattmark lo dimostra, regnava il laissez – faire, funzionale al mantenimento di un sistema che metteva in primo piano il profitto.
Per chiudere con una nota non negativa: fra il 1965 ed il 1992, la Fondazione Mattmark ( comprendente imprese, sindacati, Croce Rossa, mezzi di comunicazione e Ambasciata italiana) versò alle famiglie delle vittime 4 milioni e mezzo di franchi.
Ricordo che i familiari degli operai rimasti uccisi avevano impugnato la sentenza, ma il Tribunale cantonale di Sion non accettò il ricorso, scaricando sui parenti anche il pagamento delle spese processuali.
Sull’atteggiamento odierno riguardo ai migranti, rimando alle cronache contemporanee.
Testi di riferimento:
Paolo Di Stefano: “I ragazzi devono sapere cosa accadde a Marcinelle“, Corriere della sera, 8-08-2016;
Marco Cicala: “L’ultima strage dell’immigrazione italiana“, Il venerdì di Repubblica, 31-07-2015
Toni Ricciardi: “Morire a Mattmark“, Donzelli, 2015