Prima di riprendere il discorso relativo ai “Silenzi della storia”, faccio una pausa per ricordare un momento drammatico del secolo scorso, il colpo di stato militare del 1973 in Cile.
In quell’occasione il nostro Paese, garantendo la salvezza a tanti oppositori che si rifugiavano nell’ ambasciata d’Italia, svolse un ruolo positivo, tuttora poco conosciuto.
Cile , 11 settembre 1973: il palazzo presidenziale è bombardato , il Presidente Salvador Allende, socialista, si uccide, cominciano il coprifuoco, gli arresti, le torture.
La Junta militare prende il potere con Pinochet, comandante delle forze armate, e scioglie il congresso. Gli oppositori vengono perseguitati, lo stadio nazionale diventa un campo di concentramento dove si tortura e uccide.
Per un anno, Roberto Toscano ebbe il compito di gestire i rifugiati cileni in ambasciata, sotto la responsabilità e la guida di due incaricati d’affari, Pietro De Masi(1) e Tomaso De Vergottini.
Va ricordata una specificità della situazione cilena: l’asilo diplomatico non è un istituto del diritto internazionale generale, ma una prassi riconosciuta e codificata in America Latina, prassi in cui l’ambasciata italiana ebbe il permesso di rientrare.
Come si svolgeva l’operazione? Toscano racconta che gli asilados superavano con un salto il muro d’ingresso, per fortuna non molto alto, dell’ambasciata italiana, dove venivano accolti e sistemati, prima negli scantinati, poi in stanze, stanzette e saloni, giungendo ad occupare buona parte dell’edificio. Per qualcuno il “soggiorno” nella nostra ambasciata durò solo qualche settimana, per altri un anno: tutto dipendeva dal ministero degli Esteri cileno, che rilasciava i salvacondotti.
All’alba del giorno fissato per la partenza, i rifugiati venivano fatti salire su di un pulmino, uscivano dall’ambasciata, erano sottoposti alle ispezioni dei militari cileni di guardia, che controllavano l’operazione con le armi spianate, e arrivati all’aereoporto erano accompagnati dall’ambasciatore alla scaletta dell’aereo in partenza per l’Italia : finalmente in salvo e liberi.
Nell’articolo scritto per La Stampa, Toscano osserva che la lezione a suo avviso più importante, sul piano umano, dell’esperienza cilena è quella relativa all’imprevedibilità dei comportamenti:
“Posti in situazioni estreme, i coraggiosi possono diventare vigliacchi; i paurosi, coraggiosi.” ( Roberto Toscano Così all’ambasciate italiana salvammo i dissidenti in fuga in La Stampa, 8 settembre 2013).
Un esempio per tutti : in ambasciata lavorava un impiegato romano che, prima del golpe, non perdeva occasione per affermare che in quel paese dove c’erano “rivoluzioni e terremoti”, non voleva proprio rimanere. Dopo il colpo di stato, mise in atto un’operazione complicata a favore dei rifugiati: era lui che portava in ambasciata i loro bambini, sulla sua auto privata, con una manovra spericolata, finalizzata a cogliere di sorpresa i militari di guardia, E altri italiani che lavoravano all’ambasciata o al suo esterno diedero a loro volta il proprio contributo.
(1) Piero De Masi ha raccontato la sua esperienza a Santiago nel libro: 1° febbraio 1973 – 27 gennaio 1974 ( le date di inizio e fine del suo lavoro in ambasciata ), ed. Bonanni..
Il film: No. I giorni dell’arcobaleno
Il Cile torna alla democrazia il 5 ottobre 1988, giorno in cui si svolge il referendum in cui i cileni dicono “no” ad altri otto anni di dittatura di Pinochet.
Il clima del paese, nelle settimane che precedono il voto, è raccontato nel bel film di Pablo Larrain “No. I giorni dell’arcobaleno”. Il film inizia presentando la felice intuizione del “Fronte del no” che affida l’organizzazione della campagna elettorale ad un giovane pubblicitario anticonformista, Renè Saveda. Scelta felice: il Cile aveva bisogno di una campagna elettorale come quella progettata da Saveda, che andava oltre il clima mortifero della riproposizione delle colpe del dittatore, a favore di una proposta che privilegiava la speranza nel futuro, ben simboleggiata dall’arcobaleno.
Un bel film e una buona politica…