Si visse una grande stagione a Palermo, dal 10 novembre 1983 all’estate 1985: per il pool fu un anno e mezzo di duro lavoro, anche 18 ore al giorno, e di successi .
Di sera Caponnetto si portava il lavoro in caserma, dove trascorse il suo primo Natale e il primo Capodanno palermitani, lontano dalla famiglia.
Inoltre, dato che aveva sottratto quattro persone al lavoro d’ufficio per assegnare loro processi di mafia, il Consigliere attribuì a se stesso molte inchieste giudiziarie, tanto che in una delle statistiche semestrali di quel periodo risultò il magistrato che aveva sbrigato il maggior numero di processi.
La sua costante presenza era fondamentale, anche perché il pool fu sottoposto a violente sollecitazioni, che provenivano sia dall’esterno del palazzo di giustizia che dal suo interno, ma la collaborazione dei pentiti era il riconoscimento indiretto che lo Stato appariva finalmente credibile.
Tramontava, scrive Lodato, la figura del magistrato dalla spina dorsale elastica quando si rapportava con mafiosi e potenti in genere: “La società civile, soprattutto i giovani, sostenevano questi giudici e questo nuovo modo di amministrare la giustizia. (…). Per la prima volta, avevano fiducia gli umili, gli emarginati, le persone prive di padrini. Gli onesti, si direbbe oggi.(…).
Cosa significavano i pentiti, se non il riconoscimento indiretto che lo Stato appariva finalmente credibile, presentabile, intenzionato a voltare le pagine buie degli ultimi quarant’anni?“. ( A. Caponnetto, I miei giorni a Palermo, pag.63).
E questo fu un grande risultato per Caponnetto e per i magistrati del pool.
Ma chi erano quei pentiti, che ebbero un ruolo così importante?
Il lavoro di documentazione del pool fu affiancato da una lunga serie di interrogatori con i pentiti, in particolare con Buscetta.
Il primo contatto con “don Masino” lo aveva stabilito Gianni De Gennaro, capo del nucleo operativo della Criminalpool; in seguito Caponnetto assegnò a Falcone sia la gestione degli interrogatori, prima in Brasile, poi a Roma, che il rientro in Italia di “don Masino”.
I verbali degli interrogatori venivano consegnati solo a Caponnetto, che riferiva agli altri magistrati. Non trapelò neanche una parola.
Buscetta fornì la lettura dall’interno della mafia, o meglio di Cosa Nostra, rivelò la sua organizzazione a base familistica e territoriale, la sua forza, fondata sull’esistenza della “cupola”, che prendeva le decisioni più gravi.
Ma quando Caponnetto, dopo che Buscetta aveva parlato del golpe Borghese, gli chiese di approfondire i contatti con i politici di Roma, Buscetta si irrigidì e rispose: “Non mi faccia domande su questo punto, perché io sono convinto che lo Stato non sarebbe in condizione di sopportare le reazioni che deriverebbero da eventuali mie dichiarazioni su questo argomento .( …) So cose che potrebbero minare le istituzioni.” ( pag. 56)
Gli altri pentiti furono: Contorno, Sinagra – fondamentale nel definire il ruolo dei Corleonesi nella guerra di mafia – Calderone che, rotolandosi in terra e sbattendo la testa contro il pavimento, raccontò ai magistrati Falcone e Natoli di quando aveva strangolato quattro ragazzi, uno dei quali fu gettato, ancora vivo, in un pozzo, perché sospettati di aver scippato la madre del boss Nitto Santapaola: “E’ un rimorso che mi porto dietro da allora e con il quale sento di non poter continuare a vivere.”
Anche dopo il processo del 1986, Caponnetto elaborò proposte concrete sui pentiti, ritenendo che la loro tutela fosse “un dovere di primaria importanza per lo Stato che abbia scelto di avvalersi del contributo probatorio di chi si dissocia da un gruppo criminale per collocarsi dalla parte della legge” . ( Ibidem, pag 48)
Ma prima di arrivare al processo, il Consigliere e il pool dovranno superare la terribile estate 1985.

A partire dal luglio 1984, Buscetta fu il primo pentito nella storia di quella mafia che si era arricchita con il traffico della droga, diventando antistato.
Durante la seconda guerra di mafia, lo schieramento vincente dei Corleonesi, guidato da Riina, decise di eliminare Buscetta, perché strettamente legato alla cosca rivale di Bontade, Inzerillo e Badalamenti, ma visto che “don Masino” si trovava in Brasile, attuò vendette trasversali contro i suoi parenti: due suoi figli scomparvero fra l’82 e l’84 senza essere più trovati e vennero uccisi un fratello, un genero, un cognato e quattro nipoti (1).
Il 23 ottobre 1984 Buscetta viene arrestato a San Paolo del Brasile e successivamente estradato in Italia.
Al giudice Falcone, Buscetta svela gli organigrammi delle cosche avversarie, poi quelli degli alleati, dandone la chiave di lettura dall’interno.
Con le sue ricostruzioni, consegna ai giudici istruttori gli esattori Nino e Ignazio Salvo, quindi Vito Ciancimino (2).
Manca un ulteriore livello: la posizione di Buscetta autorizza a pensare che abbia avuto contatti con politici di un certo peso, ma “don Masino” rifiuta di approfondire queste relazioni: “Guardi che io mi sono rifatto una famiglia alla quale mi sono affezionato e con la quale voglio seguitare a vivere” .
E al Consigliere, il quale gli fa presente che, una volta pagato il suo debito in Italia, sarebbe andato negli Usa, sotto la protezione degli Americani e avrebbe cambiata identità, replica: “Se dovessi parlare di queste cose, non sarei sicuro neanche in America“.
Estradato negli USA nel 1996, dopo aver testimoniato contro la presenza mafiosa in quel paese, Buscetta ottiene cittadinanza americana, nuova identità sotto copertura, protezione per sé e per la sua nuova famiglia. Muore il 4 aprile 2000, a 72 anni, per un male incurabile.
1) Golpe Borghese – Il tentato colpo di stato messo in atto in Italia nella notte fra il 7 e l’8 dicembre 1970 e organizzato da Junio Valerio Borghese, insieme a gruppi di militanti di estrema destra.
2) I cugini Salvo, imprenditori legati a “Cosa nostra”, esponenti politici della Democrazia Cristiana, erano affiliati alla cosca mafiosa di Trapani.
Vito Ciancimino, esponente della D.C., assessore ai lavori pubblici di Palermo dal luglio 1959 al 1964, sindaco fra il 1970 ed il 1971, fu uno dei principali responsabili del sacco di Palermo.